Prima o poi nella carriera di ogni triathleta, un po’ inevitabilmente, tutti arrivano a porselo come obiettivo: voglio fare l’Ironman! L’Ironman nasce nel 1978 alle Hawaii sull’isola di Oahu come sfida che univa insieme tre discipline che gia’ si svolgevano separatamente sull’isola: una gara di nuoto di 3,8 km, una di bici di 180 km e una di corsa (maratona) di 42 km. La leggenda narra che tre abitanti dell’isola stessero scommettendo su quali delle 3 discipline fosse la piu’ dura finche’ uno propose di unirle insieme e cosi’ nacque il mitico Ironman. La prima edizione fu vinta da un americano Gordon Haller con il tempo di 11h46′. Era nata cosi’ una disciplina sportiva considerata tra le piu’ dure al mondo e che da piu’ di 35 anni continua a far sognare migliaia di persone.

Ma perche’ fare un Ironman? Perche’ fare tutta sta fatica? Credo che questa sia una delle prime domande che giungono spontanee alla gente ma anche a chi si avvicina a questa disciplina. Nelle mie diverse gare in giro per l’Europa, come anche nelle lunghe chiacchierate tra amici, mi e’ capitato di raccogliere le piu’ svariate risposte rispetto a queste domande. Devo confessarvi che le risposte piu’ sorprendenti mi sono capitate durante lo svolgimento della maratona, magari nelle fasi finali quando si e’ piu’ vicini al traguardo oppure quando si e’ in crisi e “sfatti” e si cerca un po’ di compagnia o di solidarieta’ corricchiando o camminando con qualcuno che si trova nelle tue stesse condizioni. Le motivazioni sono le piu’ svariate e spaziano ovviamente da quelle meramente sportivo-agonistiche su tempi, classifiche e qualifiche, via via a quelle piu’ salutiste, sociali, psicologiche, umane, intime e personali. Ognuno ha la propria, a volte ben chiara fin dall’inizio, altre volte che si chiarisce strada facendo, nei lunghi mesi di preparazione prima della gara come anche spesso nei giorni a seguire, dopo che si e’ tagliato il fatidico traguardo. Mi capita di emozionarmi sempre quando ho a che fare con un Ironman; mi puo’ succedere nei momenti piu’ inaspettati, non necessariamente durante la gara ma anche a distanza di mesi, sentendo una canzone piuttosto che durante un allenamento o anche davanti a un’immagine. E’ un attimo, una sensazione molto forte e piacevole, un’emozione pura, magari gli occhi si inumidiscono, oppure avverto un calore improvviso nel petto, e mi viene voglia di urlare. A Nizza di quest’anno quando avevo capito che la bici la stavo finendo mi e’ venuto da pensare “dai che andiamo a prendercelo anche questo!” e mi sono emozionato. Emozionarmi mi fa un effetto-spinta, anche se sono in macchina o in moto in citta’! Un altro momento in cui mi emoziono sempre e’ quando esco dalla T2, frastornato, con la musica dello speaker a palla, la gente, il casino e inizio la maratona; e’ un bellissimo momento quello per me, inizia l’ultima parte di questa grande fatica. Ma mi emoziono tantissimo anche quando ci sono i miei bambini e mia moglie a vedermi passare in maratona…li’ mi viene proprio da piangere! Che bello! Insomma, stiamo dicendo allora che l’Ironman e’ un’emozione? E che quindi si fa un Ironman per provare emozioni? Beh direi proprio di si! Direi che questa mi sembra la risposta piu’ azzeccata che mi viene da dare alla domanda iniziale! Io metto l’Ironman tra le piu’ forti emozioni della mia vita: la nascita dei miei figli, la laurea, il mio matrimonio, la maturita’, il primo bacio ad una ragazza, una notizia di salute andata a buon fine… Vi sembra esagerato? Certo! Ma l’Ironman e’ esagerato! Nel 2013 a Lanzarote durante la maratona mi e’ capitato di farne un pezzo camminando con un caro amico americano, Jon Zaid ed il mitico Gordon Haller, il vincitore del primo IM della storia. Gordon camminava, era sfatto e rischiava di arrivare fuori tempo massimo, era gia’ sera inoltrata e la moglie lo incitava e lo aspettava sul percorso; la gente riconoscendolo continuava a salutarlo e a sostenerlo mente questo signore di 65 anni ormai grigio di capelli ma dagli occhi vispi e accesi cercava di tagliare il suo traguardo. Alcune ore prima, quando ancora mi trovavo in bici, forai per la terza volta e mi trovavo al 160mo km con un taglio nel copertone; pensai che avrei potuto camminare sino all’arrivo e feci i calcoli se ce l’avrei fatta ad arrivare entro il tempo massimo. La tempra di Gordon e il mio insano pensiero al 160mo fanno parte di queste indescrivibili emozioni che come un potente motore sono in grado di farti sorpassare i tuoi limiti e di spingerti fin sul traguardo! Pensate che a Lanzarote il Sig. Kenneth Gasque, storico organizzatore dell’Ironman Lanzarote considerato da molti “el mas duro”, aspetta fino a sera inoltrata sul traguardo tutti gli atleti Finisher e si congratula con loro uno ad uno stringendo la mano a tutti. Sara’…,ma dev’esserci qualcosa di speciale in questa lunga fatica, dove ad un certo punto le ore e i numeri scompaiono per lasciare il posto ad altri pensieri ed emozioni che subentrano e che rendono cosi’ particolare l’arrivo sulla finish-line. Nel 2012 a Klagenfurt Chrissie Wellington, la fortissima atleta pro neozelandese vincitrice 4 volte alle Hawaii, era rimasta ore sul percorso sia di bici che di corsa ad applaudire e incitare tutti gli atleti… Sono tanti i ricordi e gli aneddoti che mi vengono in mente, sia personali e privati che di altri atleti e non solo di semplici Finisher come me, a testimonianza credo che tagliare il traguardo e sentirsi dire la mitica frase “You are an IRONMAN”, rimane per me sempre un concentrato di tante emozioni difficili da spiegare a parole ma sicuramente da sperimentare sulla propria pellaccia.

 

Tato (Salvatore La Viola)